La sentenza, che di seguito si pubblica, assume rilievo di
particolare interesse tanto dal punto di vista processuale, tanto dal punto di
vista del merito.
Sotto il profilo processuale, infatti, nel decretare l’improcedibilità
del gravame proposto, la Corte di Appello, richiamando la giurisprudenza della
Suprema Corte, ha osservato come, nel rito del lavoro, l’omessa notificazione del
ricorso e del decreto di fissazione di udienza comporta la decadenza dell’impugnazione,
non essendo consentito al Giudice assegnare all’appellante un termine per la
rinnovazione di un atto mai compiuto, né, a tal fine, assume rilevanza la
mancata comunicazione del decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria
quando dagli atti processuali risulti in modo certo, come nel caso di specie,
che l’appellante abbia, comunque, acquisito conoscenza della data fissata per
la discussione della causa.
Nel merito, la Corte di Appello ha rilevato la legittimità
del collocamento in quiescenza dell’appellante, avendo lo stesso compiuto i 65
anni di età e potendo vantare, quindi, alla data del compimento del 65° anno,
43 anni di anzianità contributiva; sicché, in applicazione del regime
previdenziale in materia, l’appellante non aveva alcun diritto al mantenimento
in servizio. In sostanza la Corte di Appello ha concluso per la legittimità dell’impugnato
pensionamento, essendo la determinazione aziendale intervenuta in acclarato regime di libera
recedibilità.