venerdì 1 marzo 2019

Sull’improcedibilità dell’appello nel rito del lavoro e sulla legittimità del pensionamento del dirigente medico intervenuta al compimento del 65° anno di età e dell’anzianità contributiva massima utile prevista dall’ordinamento vigente


La sentenza, che di seguito si pubblica, assume rilievo di particolare interesse tanto dal punto di vista processuale, tanto dal punto di vista del merito.
Sotto il profilo processuale, infatti, nel decretare l’improcedibilità del gravame proposto, la Corte di Appello, richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte, ha osservato come, nel rito del lavoro, l’omessa notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza comporta la decadenza dell’impugnazione, non essendo consentito al Giudice assegnare all’appellante un termine per la rinnovazione di un atto mai compiuto, né, a tal fine, assume rilevanza la mancata comunicazione del decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria quando dagli atti processuali risulti in modo certo, come nel caso di specie, che l’appellante abbia, comunque, acquisito conoscenza della data fissata per la discussione della causa.
Nel merito, la Corte di Appello ha rilevato la legittimità del collocamento in quiescenza dell’appellante, avendo lo stesso compiuto i 65 anni di età e potendo vantare, quindi, alla data del compimento del 65° anno, 43 anni di anzianità contributiva; sicché, in applicazione del regime previdenziale in materia, l’appellante non aveva alcun diritto al mantenimento in servizio. In sostanza la Corte di Appello ha concluso per la legittimità dell’impugnato pensionamento, essendo la determinazione aziendale  intervenuta in acclarato regime di libera recedibilità.